Nella mente dei terroristi
Ad una settimana dagli attentati di Parigi non riusciamo ancora a rispondere ad un interrogativo, forse il più importante, per aiutarci a trovare una spiegazione razionale degli attentati. La questione ancora irrisolta è “perché?”. Non abbiamo ancora capito perché dei giovani cresciuti in Europa dovrebbero uccidere altri giovani, loro coetanei. Perché i terroristi hanno scelto di uccidere proprio quei ragazzi al Bataclan e nei Bistrot. Una domanda che da giovane coetaneo degli attentatori e delle vittime, continuo a pormi ed a cui non sono ancora riuscito a trovare una risposta.
Leggendo il “Buongiorno”di Massimo Gramellini su La Stampa di oggi, si può trovare una possibile soluzione. Il male attrae gli sfigati e quindi i terroristi, che erano soltanto degli sfigati, e per di più invidiosi del modo di vivere dei ragazzi parigini e di uno stile di vita che loro non avrebbero mai potuto condurre, si sono lasciati attrarre dall’Isis. L’unica alternativa che questi giovani hanno trovato per dare un senso alla loro esistenza, è stata sposare l’ideologia fondamentalista.
La narrazione fiduciosa e in parte supponente di Gramellini non coglie un punto fondamentale però. I terroristi erano degli sfigati e questo può essere vero, ma ciò che Gramellini non considera è che l’essere sfigati non è una caratteristica dell’esistenza. Sfigati non si nasce, lo si diventa. La società in cui viviamo considera “sfigati” coloro che sono diversi dalla maggioranza, che non si lasciano inquadrare in schemi prestabiliti, coloro che mostrano le proprie debolezze. Lo sfigato è un emarginato, un prodotto della società e della cultura in cui viviamo ogni giorno. Bollare i terroristi come degli “sfigati”, invidiosi del nostro stile di vita, può sicuramente darci fiducia e farci sentire più sicuri, ma non può essere una risposta ai nostri dubbi. E potrei anche aggiungere che l’equazione pericolosa, frutto di questo ragionamento, ci può portare ad individuare facilmente il nemico nello sfigato di turno, che potrebbe quindi essere un possibile terrorista.
Da persona che ha vissuto gli anni dell’adolescenza con il bollino dello sfigato addosso, che non è mai riuscito ad essere come gli altri, quelli “fighi”, capisco perfettamente come ci si possa sentire. Ma tra l’essere sfigati e l’essere terroristi c’è un abisso, un abisso che evidentemente la nostra società e cultura occidentale non riesce a colmare in altro modo. Questa risposta non può quindi essere una spiegazione razionale agli attentati di venerdì scorso.
Un articolo del professor Justin Smith, tradotto su Il Post qualche giorno fa, ci aiuta a capire invece proprio perché i terroristi abbiano scelto quegli obiettivi, perché hanno deciso di colpire i ragazzi del Bataclan. I terroristi volevano colpire i “giovani, multietnici, bohémien parigini, persone che probabilmente hanno risorse finanziarie limitate ma un’infinita capacità di godersi la vita”. Il non riuscire a far parte e ad entrare in questa categoria di giovani, l’invidia per i propri coetanei può essere quindi sicuramente un incentivo all’odio, che può aver spinto questi giovani nelle braccia dell’Isis, ma in realtà dietro agli attentati c’è un disegno più ampio. Smith riesce a cogliere un progetto ben più preciso, che l’Isis sta portando avanti e di cui quei ragazzi “sfigati”, divenuti terroristi, sono solo pedine magari non del tutto consapevoli. “Il loro preciso obiettivo negli attentati di Parigi era eliminare le persone che svolgono il ruolo di controllo alla rampante xenofobia e reazione violenta in Francia: uccidere l’utopia dei giovani bohémien multiculturali che credono, sopra tutte le altre cose, nella felicità”. Quello che l’Isis vuole è la fine di quella utopia della multiculturalità, della fiducia nel futuro, dell’accoglienza senza barriere di razza, cultura o religione, nel confronto possibile all’interno di una società laica. L’integrazione vera, all’interno di una società multietnica, laica e aperta è ciò che più di ogni altra cosa terrorizza i fondamentalisti religiosi, non soltanto i fondamentalisti islamici. Per questo quindi i terroristi non colpiscono a caso persone innocenti, colpiscono i giovani, colpiscono il futuro dei nostri Paesi, colpiscono i depositari di una cultura e di una ideologia pericolosa per la sopravvivenza del fondamentalismo religioso.
Ma se all’interno della nostra società esistono sacche di odio e di emarginazione tra noi giovani, forse dovremmo chiederci se il sistema in cui viviamo riesce veramente ad integrare tutti e a dare a tutti le stesse opportunità. Gli sfigati rimarranno sempre sfigati e potranno essere attratti dal male, se la società non riesce a coinvolgere e recuperare tutti all’interno di un quadro culturale unico di riferimento a cui gli appartenenti ad una comunità dovrebbero essere educati. E forse questo è proprio ciò che manca alla nostra società europea: l’educazione dei giovani a partire dalle scuole nel sentirsi parte di un comune orizzonte culturale e di valori che caratterizzano la nostra società e che supera qualsiasi divisione culturale, di religione, di razza e di sesso. Troppo spesso tutto questo rimane sulla carta e non riesce ad essere messo in pratica a partire dai luoghi dove si formano le nuove generazioni e cioè le scuole. Spesso non ci accorgiamo che è proprio in una società che non da a tutti le stesse opportunità, che crea emarginazione sociale, cova il germe dell’odio.
La risposta quindi al perché dei giovani cresciuti come noi, diventano improvvisamente terroristi sta proprio qui, nell’emarginazione e nelle responsabilità di una società che a parole è laica e multietnica, ma nei fatti non è realmente giusta e solidale.
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