La generazione del Ciao
L’esplosione dei movimenti e delle contestazioni giovanili è un fatto di rilevanza mondiale che trae origine da malcontenti e insoddisfazioni profonde. La presa di coscienza di ingiustizie e delle diversità sociali, i movimenti pacifisti alimentati dalla tragedia del Vietnam, la voglia di slegarsi dagli angusti vincoli borghesi nel campo del lavoro, dello studio, della cultura, delle relazioni interpersonali, stimolano nuove esigenze di libertà e aggregazione.
Ma forse questa è la fortuna del Ciao. Grazie ovviamente alle sue qualità, ma anche alla felice intuizione del management Piaggio, capace di colpire nel segno giovanile con una campagna pubblicitaria mirata e anticonvenzionale, ricca di messaggi nuovi, libera da stereotipi e banalità. “Prendi il Ciao e regalati un’ora di libertà”: il Ciao strizza l’occhio ai giovani, alle ragazze in particolare, grazie alla sua forma essenziale, pratica, che non costringe ad acrobazie per montare in sella.
Per chi era un ragazzo negli anni ’70 e ’80, il Ciao è stato il primo mezzo con il quale muoversi autonomamente senza spendere troppo. Per Pontedera, ferita dall’alluvione del 1966, fu invece il simbolo della ripresa economica della Piaggio e di tutto il territorio della Valdera. Il fascino di questo ciclomotore comunque è rimasto intatto fino ad oggi e per chi a sua volta il mezzo secolo di vita l’ha superato, un po’ per nostalgia e un po’ perché in modo inconfondibile quel cinquantino smilzo con i pedali sa di gioventù e spensieratezza, profuma ancora di primi amori e di primi passi nell’autonomia di muoversi senza chiedere ai genitori di essere accompagnati.
Anche per i giovani di Vinci il Ciao rappresentava la possibilità di muoversi in autonomia, una delle prime libertà che un giovane riesce a prendersi, soprattutto per chi vive in un paese di campagna, lontano dai grandi centri abitati dove il ciclomotore diventava veramente un simbolo anche di indipendenza. A Vinci il Ciao era venduto dall’officina del Morlandi, in via Matteotti, dove tutti i ragazzi portavano ad aggiustare le biciclette, sognando un giorno di poter guidare i motorini esposti. Una volta raggiunta l’età del motorino si poteva tornare dal Morlandi a prendere finalmente uno di quei motorini tanto desiderati.
In quegli anni più di adesso il motorino rappresentava veramente una svolta come simbolo non solo di libertà, ma anche di responsabilità. Si era liberi e al tempo stesso responsabili del proprio destino, di potersi muovere e spostare senza più bisogno di chiedere di essere accompagnati dai genitori. Poter andare alla piscina di Pietramarina da soli, a Lamporecchio o a Empoli al mercato, ritrovarsi per girare e divertirsi in motorino per le campagne del nostro territorio, andare a trovare gli amici più lontani e il tutto rigorosamente senza casco, visto che non c’era l’obbligo di legge di indossarlo. Per tanti era anche il mezzo con cui andare a lavorare, in anni in cui spesso l’età del motorino coincideva anche con l’ingresso nel mondo del lavoro.
Tutto questo rappresentava una grande conquista, in particolare per le ragazze a cui il Ciao strizzava l’occhio e offriva un grande passo di libertà. Molte di quelle ragazze degli anni 80 ancora oggi conservano nei loro garage degli esemplari di quel fortunato ciclomotore, divenuto simbolo per intere generazioni. Oggi gli appassionati del mito si mettono in Rete, si organizzano viaggi in Ciao (Bologna-Mosca oppure Roma-Lisbona), ci si scambia pareri sulla “tolleranza” in chilometri del vecchio motorino, si fanno raffronti con la leggendaria Vespa. Di blog in blog comincia, insomma, l’operazione nostalgia che accompagna gli oggetti cari all’adolescenza. Soprattutto quelli che “coronano” l’idea un po’ ingenua di libertà giovanile.
Articolo pubblicato nell’edizione di Settembre/Ottobre 2017 del bimestrale “Orizzonti Cerreto-Vinci”
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