La caduta dell’acrobata. Il futuro del Partito Democratico dopo la fine del governo Renzi
Nella confusione del Partito Democratico di questi ultimi mesi, dalla sconfitta nel referendum ad oggi, ho cercato di capire cosa stesse succedendo, ho cercato di comprendere la direzione che il mio partito aveva preso e gli errori che aveva fatto. Poi mi sono improvvisamente reso conto che la soluzione a questi miei dubbi e quesiti era già stata trovata alcuni anni fa da Ezio Mauro in un celebre articolo uscito su Repubblica nel febbraio 2014: “L’azzardo dell’acrobata”.
Ezio Mauro aveva già capito quali errori Renzi e il partito democratico stessero commettendo. Aveva capito come la trasformazione della figura del leader e della politica che stava portando avanti Renzi fosse fittizia, una performance artistica, come l’acrobata sul filo che genera consenso dalle emozioni che suscita durante la sua esibizione. Una leadeship sempre sul filo, col costante rischio di cadere giù e che da questi sentimenti trae la propria forza e il proprio consenso elettorale.
“Siamo un passo oltre la personalizzazione della leadership: è l’antropologia che oggi viene scelta per dar carattere, natura e sostanza all’agire pubblico trasformandolo in meta politica, psicopolitica, performance(…) Si sta col naso all’insù per applaudire l’acrobata alla fine, se ce la fa, ma anche per l’emozione che trasmette il rischio consapevole di vederlo cadere”.
Renzi nella sua continua performance politica ha messo in secondo piano quel movimento di rinnovamento nato con la “rottamazione”, portando avanti una narrazione diversa basata sulla forza della sua figura di leader capace di incarnare il cambiamento a prescindere dai risultati concreti delle sue scelte politiche. Non era più un leader portavoce di istanze presenti nella società, rappresentante di un malcontento e di una speranza di cambiamento. Era un leader autoreferenziale, concentrato sulla narrazione delle proprie gesta al fine di costruire la propria leggenda.
“L’attore politico in questo nuovo teatro è tecnicamente spregiudicato perché gli interessa solo essere se stesso e arrivare in fondo, è quindi disancorato da tradizioni ed esperienze precedenti perché vive della propria leggenda e deve raccontare di continuo solo quella, è ideologico perché la sua forza è la contemporaneità, anzi l’adesione istantanea a tutto ciò che è contemporaneo, senza legami, obblighi e carichi pendenti, come se contasse solo la storia che ogni volta si inaugura, non quella che si è già compiuta”.
Il Renzi premier non rappresentava più le persone che per anni l’hanno sostenuto, è diventato un Renzi istituzionale che ha realizzato il proprio sogno, ma non quello di chi l’aveva sostenuto per anni. Il cambiamento che aveva incarnato con la vittoria delle primarie è sparito, schiacciato dal peso del mantenimento della leadership. Oggi Renzi e con lui il Partito Democratico non sono più in grado di rappresentare la società e i suoi problemi, non sono più in grado di presentarsi come forza del cambiamento.
Il PD è un partito che non è in grado oggi di discutere al proprio interno, legato ancora a lotte intestine tra schieramenti pro e contro Renzi. Non è in grado di rappresentare il cambiamento, essendo stato al governo per tutti questi anni senza essere mai riuscito a portare il paese veramente fuori dalla palude, dopo aver appoggiato i governi di larghe intese Monti e Letta, con Bersani segretario, e dopo aver sostituito un premier del PD con il nuovo segretario. Riforme strutturali vere, serie, che potrebbero cambiare questo paese non ne sono state fatte o sono state fatte “all’italiana” e il Pd ne è il principale responsabile.
Purtroppo anche Renzi una volta ottenuto il governo si è scordato delle idee che aveva incarnato negli anni precedenti e che l’avevano portato a giocarsi le primarie nel 2012 e a vincere nel 2013. Si può capire che governare non è come stare all’opposizione, è complicato ed è fisiologico che ciò che si promesso non sempre è possibile realizzarlo. Ma la politica degli slogan, del raccontare ogni giorno una storia che si inaugura a prescindere da quella che si è conclusa, come direbbe Ezio Mauro, è sicuramente il modo sbagliato di condurre un governo in quella costante contemporaneità da campagna elettorale che è utile solo a mantenere consenso popolare per un breve periodo di tempo, ma non rappresenta una forza di cambiamento vera e concreta.
Se non partiamo da questa assunzione di responsabilità non riusciremo mai a riconquistare dignitosamente il potere e non riusciremo mai a cambiare veramente questo paese. Oggi il PD ha bisogno di perdere le elezioni e di ripartire da una sconfitta e dall’opposizione. Il Referendum è stata la prima lezione che sembra però aver ridato forza solo a quella parte della minoranza interna inutile e faziosa, di cui fanno parte vecchi leader che hanno guidato la sinistra e il paese per 20 anni e che pensano oggi di potersi presentare come alternativa a Renzi, in un gioco di potere da vecchia politica.
I venti di scissione e l’abbandono di questa parte del partito non sono necessariamente un male per il PD, ma può rappresentare una grande opportunità. La vera sfida però sarà nella ricostruzione del nostro partito con il congresso che si sta delineando, sperando sia l’occasione per una discussione vera e aperta. Il Partito Democratico non ha futuro se non torna a discutere e a confrontarsi ad ogni livello, se non sposta la discussione nella società, ricominciando dall’ascoltare le persone e dal coinvolgerle nella costruzione del futuro del nostro paese, come Renzi era stato in grado di fare con la Leopolda fino al 2013.
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